Food Manifesto, Pour parler w/ theitalyanist
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Food Manifesto: cronache di normalità apparente in neo zona gialla. Gennaio è finito. Venghino cultori del buon cibo e giocolieri del gusto, qui c'è pane per i vostri denti. Sono avventure scomposte e sognanti realmente raccontate tra me e theitalyanist, food expert a tempo (quasi) pieno: conversazioni sulla cucina stellata, di quella volta che, di proprio quel che posto "che posto!", contrasti, sapori, tutta quella roba lì che ha lo scopo di darvi almeno tre buoni motivi per e una scusa con cui. Siamo abituate a prendere posto al tavolo nell'angolino accomodante, ma questa volta vi guidiamo noi nell'esperienza di un pranzo, quindi: quello è il vostro tavolo, seguiteci per di qui.
Bon appétit, anche se non si dice.
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La cosa che più mi piace dei ristoranti stellati è che non sai mai chi incontrerai al di là del tuo tavolo prenotato per le 13:15, la varietà di gente seduta a gambe accavallate al di là del calice. Spostandovi con attenzione tra le facce chine sul menù, se guardate bene, di tanto in tanto, potrete trovare anche me e The Italyanist, con altrettanta attenzione a faccia in giù sulle portate. Lei la riconoscete dai capelli rossi in rima con il vestito e dall’inconfondibile accento romagnolo alla ricerca dell’angolino più interessante del locale, a me dall’instancabile erre moscia che subito paleso in un sussurrato “facciamo un brrrrindisi”.
Rossella (but call her theitalyanist, ndr) si guarda attorno, e studia come il signore a quel tavolo arrotoli la pastasciutta sulla forchetta, come quella donna spalanchi gli occhi assaggiando una trota marinata nel latte: è il suo teatro senza palcoscenico, dice. Ha tutto ciò che serve per essere un’italian-ista: un amore incondizionato per il made in Italy e una grande curiosità nello scoprire l’artigianalità che fa dell’Italia un paese che ci piace così tanto. La sua è un’irrimediabile passione per la tradizione locale, che passa dai grandi riconoscimenti culinari all’espressività più vera della tagliatella homemade: dopo una serie di “Mi consigli un ristorante?” ha deciso di anticipare ogni richiesta e raccogliere i suoi preferiti in un vademecum su Instagram. Impossibile non seguirla se si ama il cibo italiano.
Abbiamo scoperto un mondo di opinioni in comune sulla food-philosophy: io ho colto l’occasione per condividere un pensiero scomposto sulla cucina stellata, lei ha dimostrato un buono spirito d’adattamento ai miei voli pindarici. Con l’intenzione di fare quattro chiacchiere abbiamo avviato una tavola rotonda: tante parole, un’acquolina esagerata e qualche progetto per il futuro di cui questa newsletter è il primo. Pour parler.
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Ah, la prima volta in uno stellato…
Lei al Magnolia (Cesenatico), io da Andreina (Loreto) – entrambi ristoranti troppo azzardati per tentare un approccio alla cucina gourmet per davvero: lei scardinava lo stereotipo della rigidità in sala e dei colletti inamidati, io molti dei miei “questo non lo assaggerò mai”. “Non sapevo dell’esistenza di questo posto” dice sua mamma in faccia allo Chef, io da brava reticente sulla selvaggina mi trovo ad affrontare un menù a base di battuta di coniglio (cruda, ndr), fegatini e piccione. D’altronde si sa che per finire a razzo l’inizio non può essere dei migliori.
Che sia la prima, la decima o la centesima volta, mangiare in un ristorante stellato ti cambia: ti mette alla prova spingendoti verso sapori che non pensavi di poter assaggiare, e forse un po’ ti sfida nel momento in cui leggendo la quinta portata in menù gongolando ripeti a te stesso “dai, questo non potrà di sicuro essere buono” e invece poi ti sbagli. The Italyanist giura di ricordare ancora gli spaghetti al pino Mugo del San Brite (Cortina), io l’indimenticabile risotto Verdicchio, zucca e cioccolato bianco di Nostrano (Pesaro).
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Rossella pensa che un cuoco stellato non possa prescindere dalle radici, e io ci aggiungo che tutti devono imparare l’alfabeto prima di scrivere. È una questione di autenticità, di rispetto del gusto prima che del cibo, di guardare nel piatto e leggersi dentro nei ricordi: la lasagna e l’uovo fritto sono solo espedienti – e strizzo l’occhio a Proust. Lo stesso commensale deve conoscere la cucina del proprio territorio per dare un senso ai sapori nuovi e concedersi di imparare. Niente è più democratico della bontà del cibo. Se non hai accolto ed interiorizzato alcuni gusti del tuo passato non sei dentro la cucina stellata, l’assaggi e ti scivola via senza lasciarti il ricordo in cui riviverla quella cucina. Le domeniche dalla nonna sono una buona palestra, gli habitué delle osterie va a finire che sono avvantaggiati.
Perché mangiare stellato, quindi? Perché non voler provare è come fermare un processo evolutivo della curiosità, non ti stai approcciando all’innovazione del cibo, sei fermo nella rigidità di uno stereotipo vecchio.
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Tra i falsi miti del cibo stellato c’è sicuramente l’idea di uscire dal ristorante ancora affamati, ma l’esperienza in cui sarete guidati prevede una serie di “coccole” gustative che vi renderanno difficile arrivare anche a fine pasto (parola mia e di theitalyanist): c’è l’entrée di benvenuto che consiste in una serie di fingerfood, il pre-dessert che è una portata transitoria tra il salato e il dolce, una serie di leccornie come piccola pasticceria per accompagnare il caffè... e c'è il cestino del pane che solitamente è free refill – e merita un paragrafo ad hoc in questa sede.
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Rossella giura essere il suo punto debole quando mangia stellato e io non posso contraddirla: il cestino del pane in questo genere di ristorante è una portata a tutti gli effetti, che nei più viene accompagnato da olio o burro di qualità a seconda del territorio in cui ci si trova, ed offre una varietà di tre o quattro tipi di panificato. Di fronte al cestino del pane le persone si mostrano un po’ per quello che sono davvero, e la popolazione intera si divide in due: c’è chi l’ha già finito alla fine degli antipasti e chi, come noi due, cerca di darsi un contegno per arrivare alla fine del menù senza boccheggiare.
Per chi se lo stesse chiedendo, per la scarpetta col pane il nostro è un unanime oui! Chi non scarpetta nello stellato gode solo a metà… non era più o meno così?
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La rigidità dell’atmosfera in questo genere di ristoranti, infatti, è solo una diceria portata avanti da chi nello stellato, in realtà, non c’è proprio mai stato. Forse è proprio l’aura che si respira qui a rendere chiaro il fatto che gli stellati e le trattorie concorrano per lo stesso obiettivo: farci sentire a casa. Dietro l’accortezza del calice sempre pieno e delle briciole raccolte c’è la stessa intenzione e la stessa intensità dell’oste che ti rabbocca il bicchiere e ti porta il pane avvolto nella tovaglietta quadrettata nell’attesa del primo.
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La scelta di un’esperienza simile tiene conto dei propri gusti e delle proprie disponibilità, ma si traduce in una preparazione simile a quella del viaggio e a parer mio ricorda tanto la frenesia del Piccolo Principe in attesa della volpe: “se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice”.
Infatti, io e Rossella condividiamo anche la smania preparatoria nella scelta del ristorante stellato: bingewatching su Instagram per capire la visione dello Chef, poi un giro di verifica su Tripadvisor per pareri apparentemente più esperti, poi calcolo delle distanze fisiche e varie strategie per arrivarci, quando e come. La parte più bella.
Se si ha qualche taboo culinario (vedi la mia storia delle frattaglie, della selvaggina e qualche altro paio di cose che potrei continuare ad elencare) vi consigliamo di arrivare al ristorante informati quantomeno sulla proposta del menù in carta (attenti alle rotazioni stagionali, spesso i siti web non sono aggiornati, meglio affidarsi ai social o addirittura chiedere via mail) – e sulla fisicità dell'Head Chef, che ci eviterà figuracce nel caso in cui dovesse passarci vicino, historia magistra vitae.
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A questo punto mi auguro che una tale abbuffata di parole vi abbia almeno un po’ aperto lo stomaco e, mi auguro, la testa: chi non è curioso non cresce.
Io e Rossella abbiamo già pianificato i prossimi pasti stellati, zone colorate permettendo. Vogliamo svelarvene alcuni, sia mai che ci incontrassimo!
Per Rossella Casa Perbellini (Verona), L’argine a Vencò (Vencò), Osteria Del Povero Diavolo (Poggio Torriana); per me Abocar Due Cucine (Rimini), Ristorante Iacobucci (Castel Maggiore) e Villa Crespi (Orto San Giulio) – eh, grazie. Ogni invito è ben accetto, pour parler.
Se le nostre parole non fossero bastate e voi tentennaste ancora facendo vado-non vado con la testa, ecco due canali Youtube attraverso cui vivere in toto l’esperienza stellata, di cui noi siamo follower fedelissime.
1. Cosa Mangiamo Oggi? : Giano, fiero re della scarpetta, e Franci, fedele adoratrice del burro.
2. Where The Foodies Go : Alessia e Fabrizio, due abruzzesi alla ricerca del cibo che faccia esclamare “è bbon”.
Buona domenica, noi ci sentiamo tra 7 giorni esatti con una nuova newsletter, ma nel frattempo io e Rossella vi aspettiamo su Instagram.
Ah, ultima cosa! Giovedì 11.02.21 sul profilo di theitalyanist avrà inizio il gioco “cosa significa #beitalyanist per te?” e alla risposta più interessante andrà la maglia ufficiale #beitalyanist… don’t miss out!
@sofiettes w/ @theitalyanist
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La canzone della domenica oggi la sceglie theitalyanist: Awake My Soul – Mumford&Sons.
Vi ricordo anche la playlist Pour parler su Spotify, perfetta per accompagnare tutte le vostre parole, parole, parole...