Conosco Un Corpo, Pour parler w/ leitalienne
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Conosco un corpo.
Suona come conosco un posto, in molti coglieranno la citazione del blog di Caterina, ed è proprio così: conosco un corpo, conosco un posto, conosco il mio posto che è un corpo. Lo conosco? È un parallelismo nato dalle mie elucubrazioni: sono partita dai luoghi che abito e sono finita nell'unico luogo che abito davvero. Lo conosco?
Quando le cose guadagnano un nome diventano più vere. Prima fai fatica a pensarle.
Si chiama body positivity e l’abbiamo coniata con le migliori intenzioni, per sentirci in diritto di parlarne: dentro ci potevamo mettere tutto quello che volevamo, la parte bella era che non c’erano esclusioni di colpi, non c’era schernimento, non c’era selezione di alcun tipo. Non c’erano esclusioni di corpi. Le premesse erano bellissime, e avevano lo scopo di creare una community basata sull'empatia e sull'ascolto, libera dalle rappresentazioni socioculturali pop del corpo e dei corpi. Alti, bassi, magri, grassi, dritti, storti. Nella mia mente la raffiguro come il calderone di Strega Salamandra, o il vaso di Pandora - sapete che nemmeno qui facciamo distinzioni valoriali.
Ma siamo diventati davvero body positive? I brand hanno costruito un nuovo immaginario del corpo, eppure sempre circoscritto, che inevitabilmente lascia più persone fuori che dentro. C'è un nuovo ideale di corpo mainstream e positivo che nasce dalla normalizzazione-a-tutti-i-costi e ha poco a che vedere con le intenzioni originarie del movimento. Stare nel mezzo ci spaventa, stare nel mezzo ci impedisce di sapere da che parte del fiume è meglio, di qua o di là, sono body positive o mi odio, troppo o troppo poco. Nasce da questo manicheismo l'incertezza del diritto a poterne parlare, perché in prima persona sembra tutto più vero (e a volte meno bello, sicuramente più insicuro): io posso e forse tu no. La verità è che accettiamo di guardare i corpi normali, ma accettiamo di avere un corpo normale?
Credo si debba parlare di ciò che si conosce, e credo sia molto più saggio adottare la filosofia dell'epoké, sospendere il proprio giudizio, se non si è esperti. Per questo ho fatto non uno, ma due passi indietro e ho lasciato la parola all’unica @leitalienne per un parere interessante e interessato sull’argomento, pour parler. Ne è venuta fuori una bella chiacchierata, tonificante come una doccia d’acqua fredda che fa male ma fa bene, eccola qui!
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“Sai quando mi sento Marika al 100%? Quando sono nuda e ho dei capelli da sballo. Magari con qualche birra in corpo, quando smetto di essere la control freak che sono”.
Marika è una makeup artist, content creator e gattara doc - irrimediabilmente e perdutamente. Ha un mullet fantastico e sa andare con i pattini a rotelle. È molto giovane, a tratti giovanissima e ha già raggiunto un’esemplare consapevolezza di sé che condivide sui social per spronare gli altri a farlo, per dare un giusto hint alle cose, per dare un’alternativa alla perfezione alterata: “per me Instagram è fonte di ispirazione. Mi crea anche un pò di stress e pressioni, sento sempre un pò l’ansia di postare qualcosa, poi finisco sempre per postare troppo. Oversharing is sexy!!”.
Nell’Ottobre 2019 prende vita il suo progetto @corpoconsapevole in cui racconta la sua storia giorno dopo giorno senza alcuna censura: mi piace quanto un corpo può cambiare. “Non ho alcuna pretesa di rivendicare messaggi rivoluzionari, sono una donna che come tante altre vive nell’abisso, tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere. Semplicemente mi interrogo sul perchè. È un racconto imparziale della mia vita interiore e di come mi percepisco, di quello che provo e dei miei cambiamenti interiori ed esteriori. Il corpo per me non è solo un involucro, ma è strettamente collegato a cuore e mente”.
Attraverso le sue parole Marika mi rivela che siamo tutti sulla stessa barca, ancorati alla paura del giudizio e con la mano tesa verso l'autoconoscenza: solo se ci si conosce davvero si ha la forza di guardarsi. I giudizi, le osservazioni binarie come bello/brutto sono così radicate dentro di noi che spesso non ce ne accorgiamo: quando è stata l’ultima volta che hai fatto un’osservazione sul corpo di un passante, sul suo modo di vestire o sul suo modo di camminare?
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Nella vita offline Marika è molto timida e ipersensibile, ma la timidezza non è mai stata un deterrente: “Onestamente non mi sono mai preoccupata troppo di come apparivo. Mia madre è stata per me un esempio positivo: si è sempre mostrata serena sia con i peli che senza, sia che pesasse 50kg o 80kg. Il trucco è da sempre una passione comune, ma nessuna delle due ha problemi ad uscire senza trucco. Ora.” Btw, auguri a tutte le mamme!
Mi ronza in testa una citazione di Desperate Housewives, di quando Gabrielle Solis pronunciò a sua figlia: sai quando avrai l'età per truccarti? Quando non sentirai più il bisogno di doverlo fare. Pour parler. Crescendo ci si sente sotto giudizio, ci si sente irrimediabilmente sbagliati a non essere grandi abbastanza, a non sembrare grandi abbastanza e per molti il trucco diventa presto una maschera che nella testa suona come un super potere. Wonder Make-Up. “Al liceo mi truccavo molto. Sentirsi sempre al meglio è bello, ma a volte crea una sorta di standard su te stessa alla quale devi sempre corrispondere, spesso perché le persone si abituano ad una certa te, e quando non hai voglia di starci dentro poi non ti riconoscono: ti chiedono se stai male o se hai dormito poco. Diventa un meccanismo di cui non puoi più fare a meno e questa cosa mi ha causato una sorta di crisi di identità che si presentava puntualmente ogni volta che mi struccavo o che il mio corpo cambiava. Questa pressione però veniva principalmente da fuori e da un senso di inadeguatezza che mi hanno trasmesso le persone attorno a me. Come questo mezzo che mi faceva sentire così sicura di me era diventato la fonte della mia insicurezza? Questa cosa me la sono portata dietro per anni, e poi è arrivato Instagram con i filtri, le Instagram faces, e canoni di bellezza a dir poco surreali. Per fortuna però c’erano anche tanti esempi di bellezza positivi e non artefatti, e partendo da qui ho iniziato a scavare a fondo e cercare di liberarmi, questo percorso l’ho documentato e si chiama @corpoconsapevole”.
Le chiedo del make-up, mi piace la sua involuzione che si è tramutata in una trasformazione, e mi racconta di come non avrebbe mai immaginato che sarebbe proprio il make up diventato il suo lavoro proprio quando non era più uno scudo, ma un’arma: “negli ultimi anni sono riuscita a rivalutare il suo effetto psicologico e a viverlo come una semplice passione. Ora che lo conosco bene -conscia anche dei suoi effetti negativi- lo uso come modo per esprimermi, ma non è più la fonte della mia autostima”.
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Mi chiedo a che punto siamo a proposito di corpi e stereotipi, nel 2021. Online è servito un buffet pantagruelico - come ho già detto, la figura del calderone di Strega Salamandra - in cui siamo al punto in cui c’è così tanto di tutto che non sappiamo riconoscere questo tanto. Però credo che quando le cose acquistano un nome diventino più vere, almeno degne d’attenzione anche da parte di chi di solito cammina con la testa bassa - almeno adesso anche dallo schermo dello smartphone viene fuori una nuova sensibilità sull’argomento. Bisogna saper discernere, studiare come a scuola, scegliere le fonti di cui fidarsi: “L'online sembra essere uno spazio più libero. In un certo senso lo è, perchè le persone sono generalmente più giovani, ma c’è ancora molta strada da fare. Purtroppo con questa body-positivity-pop e commercializzata si sono creati altri stereotipi soffocanti”. Su suggerimento di Marika, da leggere questa riflessione sulla body positivity e sulla body neutrality di Y-Spot.
Parlare di body positivity richiama quasi consequenzialmente l’immagine di un corpo femminile plus-size, con una o due smagliature e le mutande contenitive in una sorta di nuova stigmatizzazione corporea e corporale: dove sono tutti i corpi minus-size? E dove sono tutti i corpi maschili? Da un lato, il corpo della donna ipersessualizzato; dall’altro, la figura maschile intossicata di virilità anni ‘50: “Entrambi i corpi sono intrappolati in questi stereotipi soffocanti, e il problema è che sono le uniche narrazioni proposte, tutto ciò che non vi assomiglia diventa invisibile o quantomeno fastidioso. Per questo fin da piccoli si fa di tutto per rientrare in questi canoni. Sono talmente metabolizzati che molti di noi ancora non sanno riconoscerli in se stessi, and this is saaaad”. La conseguenza è una distanza incredibile tra le persone, perchè anche le interazioni tra esse sono stereotipate - altro suggerimento di Marika: Liberated su Netflix. Qui ne aggiungo anche uno mio: This Is Us, su Prime Video.
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Ormai abbiamo gli occhi aperti: questo argomento ha la stessa forza di un fuoco che divampa; a seconda dell’intenzione ti scalda o ti brucia la casa. Marika ha un ultimo suggerimento, che è un account da seguire - chi segue già da un pò questa newsletter sa che non poteva mancare. “Seguo moltissimo Maja Malou Lyse, che si definisce sex critical. @habitual_body_monitoring2 è il suo account e ha ispirato @corpoconsapevole.” Io ne aggiungo un secondo: @belledifaccia.
E tu, Marika, consa consiglieresti di fare per imparare ad apprezzarsi di più?
“Consiglierei oneste e lunghe conversazioni con se stessi. E anche con gli altri”.
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A questo punto vi lascio con una riflessione: disseminate in questa newsletter avete visto più foto dello stesso corpo (o di due corpi), potenziale compagno di banco all’università, vicino di casa al di là del terrazzo, passante. Avete mai pensato a quanto un corpo possa cambiare? Ma, soprattutto, avete mai pensato a quanto il vostro corpo possa cambiare?
Oggi una newsletter più impegnata: ve l’avevo detto che qui avrebbero avuto spazio il Relativismo e Disney Channel. È questo il suo bello: anche se non te ne accorgi, la Semiotica e la vita stanno benissimo insieme.
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La canzone della domenica oggi la sceglie Marika: Rejjie Snow - Egyptian Luvr.
Qui la solita playlist Pour parler, perfetta per guardarsi allo specchio.