💌 Pour parler di 2-videos-stand, Bimbo Vampires e Strawberry Make-up
Cosa dobbiamo aspettarci da questa Fashion Week?
di Sofia Tolentinati, Sett 2023, n.28
Benvenut* o bentornat* su Pour parler, Caro Lettore - mi sembra opportuno fare gli onori di casa, ndr. Prima di tutto, piacere di averti nella community di quelli che per me resteranno sempre i 25-lettori-manzoniani, da cui ho preso in prestito l’epiteto di Caro Lettore, pour parler. Eppure siamo 938. Eh. Come vola il tempo quando ci si diverte.
Spoiler: se inviti qualche amic* ad iscriversi inoltrandogli questa mail eviterai sicuramente la scena muta durante l’aperitivo di stasera. Ma hai letto su Pour parler? Te lo assicuro.
E alla fine arriva la Fashion Week, ndr.
Puntuale come la fidanzata venticinquenne di Di Caprio e il mental breakdown di Courtney Kardashian: insomma, inesorabile. Questo momento mi porta a riflettere sulla volatilità di quello che vediamo ogni giorno e, quindi, prepararsi a cosa vedremo/faremo/diremo non serve più: lo siamo già, preparati intendo. Inizierà una nuova Settimana Della Moda piena di trend: tomato girls e cottagecore girls a piede libero per Milano - noi, fedelissimi, a guardare l’ultimissimo trend, con la gola un pò asciutta al pensiero di tutti quegli zeri che vorremmo indossare per essere (ancora) cool e gli occhi un pò appannati per i troppi stimoli. Gli epilettici dei trend.
“Ma, Sofia, è proprio dei trend che tratta la tua newsletter. Ti stai forse contraddicendo?”.
Un pò esatto, Caro Lettore, e questa Fashion Week sarà la scusa per ricordare a me stessa le ragioni più intime di questa newsletter: non inneggio all’ultimo trend per stimolare una smania compulsiva dell’acquisto, dell’imitazione, del, del del. Questi carteggi sono la summa deliziosa della mia curiosità più estrema nell’osservare un mondo che è in continua evoluzione e che a volte capisco, a volte capisco un pò meno. Sono letture, appunto, pour parler: servono ad arricchirsi, a capire gli altri e a dare un senso a chi imita di aver fatto se$$o sbavando un rossetto o a chi chiede al proprio partner quante volte al giorno pensi all’Impero Romano. Incuriosisciti, leggi, scopri, e soprattutto stai al passo (e no, non è un’altra citazione dalle Kardashian).
La puntata di oggi è con Irene Coltrinari, previous Fashion&Beauty Coordinator in nssgclub now Beauty Editor in Vogue Italia, absolute insider di questa Milano Fashion Week che ci confessa cosa si aspetta di trovarci quest’anno. Ma, soprattutto, che ti parla di trend insieme a me, ça va sans dire.
🔍 Indovina chi? versione aesthetic
Se nella scorsa puntata di Pour parler ti era sfuggito questo video di Sssinister, guardalo ora.
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In questo video di @wonderkindco, una ragazza si aggira per l’ufficio descrivendo con una stringa di aggettivi e nomi ogni outfit delle colleghe, determinandone l’estetica corrispondente con codici degni del linguaggio HTML. «Girl, I love you ethereal fairy maniac lower east side Pixie Dream girlfriend fit, yes» commenta inquadrando dal basso verso l’alto, in ordine, un paio di Adidas Samba bianche e nere con calzini bianchi alti, una gonna a vita bassa in cotone rigorosamente stropicciata e una canotta bianca a righe con la stampa di Betty Boop, che la co-worker abbina con maxi cuffie e fascia per capelli nera à la 90s.
La parte più esilarante, quanto a tratti esasperante, del video, è quando il set del girato si sposta dall’interno dell’ufficio al cortile, dove la cicerone delle aesthetic identifica un total look bianco composto da camicia bianca aperta sopra ad una canotta a costine, pantaloni capri bianchi e Birkenstock indossati da una collega che è ovviamente un “coastal grandmother’s daughter’s cousin look”. Pensare alla cugina della sorella della coastal grandmother - parola che incarna il mood della donna abbiente che passato il fiore dell’età si ritira sulla costa per godersi i suoi soldi e la tranquillità della natura (come darle torto) - mi ha fatto capire quanto lontano può estendersi il collegamento tra un concetto che rappresenta un’estetica e l’insieme più o meno preciso di capi utilizzati per ricreare la stessa vibe, capace di accomunare anche il grado di parentela più remoto.
Mi sono chiesta se veramente stiamo scadendo nel bisogno di dover far rientrare ogni look in un’estetica precisa e immaginandomi tra le vie della Fashion Week ho ipotizzato una sorta di “Indovina Chi?”, aesthetic edition: ragazze con i capelli rossi ramati da identificare come rosse cowboy copper, ragazze castane da complimentare per le chiome cinnamon cappuccino, abbinate al cardigan del loro fidanzato con una chiara labrador energy.
Non esiste più un look composto da concetti diversi, come l’Ugly Chic, o ancora, e forse meglio, che segua le proporzioni stilistiche di Amy Slimovich di Tibi? Dobbiamo per forza sposare un’estetica sola e votarci ad essa? Lo stile personale è morto? Non lo so, ma sono sicura sia esistito.
Se nella Grande Mela c’erano molte più Gallery Girls, definite dalla creator @hannaejo come “qualcuno che capisce il colore, il contrasto e concetti di design complessi e li porta nel suo stile e nel modo di truccarsi” come si è visto sulle passerelle e nei front row di Sandy Liang e Kim Shui, ho capito che le diverse estetiche possono coesistere, ma al prezzo di non essere capiti al 2000%.
A Milano il total look comanda colore, forse per una questione tipicamente italiana del minimo sforzo e massimo risultato.
Per strada ci saranno parecchie Bimbo Vampires “che non indossano altro smalto se non il Rouge Noir di Chanel o al massimo un verde oliva, sulle labbra stendono solo gloss rosso sangue, come l’Ellis Red di Ellis Faas, un colore disegnato per mimare esattamente il colore del sangue umano, e come trucco occhi ruba al mermaid-core i glitter, ma li mixa sapientemente con toni caldi e freddi e diverse textures”.
Difficilmente si troveranno lo stesso sottobosco di sottoculture che coesistono in un armonioso contrasto come a Londra. Dal momento che la città vanta poli culturali del design di moda come la Central Saint Martins, è molto abituata al veder emergere e affermarsi delle micro sottoculture che per breve tempo spariscono, poi riappaiono sotto nuove vesti.
Ed è esattamente quello che succede alle diverse estetiche di TikTok, compreso lo "Strawberry make-up”, che altro non è che un make-up naturale che al tempo di Youtube veniva denominato Soft Glam. Questi nuovi nomi per definire vecchie cose, non sono altro che “un’intuizione che mi sono appena inventata” come anche afferma Hannah E. Jonhson, l’ideatrice delle Gallery Girls e delle Bimbo Vampires, che ha usato due nomi evocativi per riassumere un look preciso e un’energia ad essa collegata, spesso associata a persone che si conoscono nella vita privata e che non c’entrano niente con il trend forecasting. Un lavoro che una volta spettava agli editor che oggi possono fare tutti senza cognizione di causa, e come direbbe Umberto Eco, è colpa di Internet.
Darsi etichette rende tutto più facile. Abbiamo iniziato presto a dover riassumere le nostre vite prima in 150, poi in 60, fino a voler raccontare con 5 parole la nostra personalità, dai tempi dei primi accessi non controllati sui social alla creazione della fatidica bio, di Instagram o di Tinder. L’incertezza di osare e sperimentare, di essere confusi e anche un po’ prolissi, l’abbiamo un po’ persa da tempo. Dobbiamo essere sempre sul pezzo, chiari, immediati, performanti.
Nel mondo delle estetiche che nascono prima su TikTok che sulle strade, usare certe etichette equivale al tentativo di andare a colpo sicuro con qualcosa di accettato socialmente. Anche se, non tutti i mali cacofonici vengono per nuocere e, come dimostra l’abbondante commentary sociale sul tema, ci siamo già accorti che dopo essere state tutte strawberry girls e aver indossato le unghie mirtillo blueberry blue nails, proveremo ad andare oltre e cercare noi stessi oltre l’omologazione, tornando sicuramente a ripeterci perché questo l’essere umano sa fare, ma almeno non in modo intenzionale e senza ripetere gli stessi errori. Nel dubbio comunque mi son fatta rossa, o meglio, cowboy copper, anch’io.
Su Instagram la trovi come @certiorli, seguila per sbirciare cosa accade davvero alla Fashion Week.
Nell’ultima puntata della newsletter
di Kate Lindsay e Nick Catucci si evidenzia il ciclo di vita di un trend:My rule reporting for Embedded: Two’s a trend. For most of my career as a pop culture writer, we held off on declaring a trend until we found three examples to cite. In the world of internet culture, however, trends don’t build on one another, but multiply exponentially. If you’ve spotted three instances, that means are there are almost certainly at least nine in the wild and too many people already talking about the trend to make reporting on it novel. And if The New York Times publishes an explainer, it’s already dead.
Così si spiega la decadenza della maggior parte dei micro-trend che nascono sui social media, o la sessione di binge watching per l’ultima serie tv dal sapore straniero che-poi-alla-fine-non-è-niente-di-che, e per questo io oggi ti dico, Caro Lettore, che la mia ricerca sarà inarrestabile. Perchè se il trend è per antonomasia destinato a morire vale almeno la pena di dargli giusta sepoltura raccontandolo e analizzandolo, nei migliori dei casi. Non sarà una storia importante, ma almeno una one-night-stand. Anzi, facciamo una two-videos-stand - che poi ci confondiamo le idee, pour parler.
🗝️ Cose che ho fatto, visto e altre quisquilie
Tornano le sorpresine della Mulino Bianco. Ma non saranno mai all’altezza dei Roteò, ndr.
Per colpa/merito di
e di ascolto questa canzone in loop da 10 giorni.Ecco il test per capire se sei una me*da, by
Se hai meno di 35 anni e sei in crisi è normale: è la “Quarter Life Crisis” (ne parliamo nel prossimo episodio?)
Sono ossessionata da questi video di pilates. Spoiler: questa sera farò una lezione di prova.